Continuo dunque questa breve rubrica con un uomo molto particolare. Dotato di una classe immensa, di un dribblig ubriacante, ma anche di una piccola malformazione fisica; sono queste le caratteristiche che, in poco tempo, lo hanno consacrato come una delle più celebri icone del calcio brasiliano. Sto naturalmente parlando di Manoel Francisco dos Santos, meglio noto come Garrincha. Putroppo la sua fine fu più ingloriosa di quello che avrebbe dovuto essere. Non tutte le belle storie hanno il lieto fine.
Ecco un articolo tratto dal portale StorieDiCalcio
LINK: http://www.storiedicalcio.altervista.org/garrincha.html
IL GARRINCHA: L' ANGELO DALLE GAMBE STORTE
La sera nel 20 gennaio del 1983 all'ospedale Alto da Boavista sopra Rio de Janeiro, due medici, Ana Helenio Bastos e Maria Beatriz Carneiro da Cunha mettono Garrincha su una sedia a rotelle e lo trasportano al padiglione Santa Teresa, quello riservato agli alcolizzati. Gli somministrano del siero glicosado, Griplex, Lasix e vitamina B e dicono agli inferimieri di legarlo al letto, se necessario.Garrincha è lasciato addormentato e solo, la stella più solitaria di quella notte estiva. Tutto il suo corpo era in rivoluzione, quel corpo che non gli servirà più per scattare sulla linea destra e trasformare i suoi dribbling, sempre eguali e sempre diversi, in autentici numeri che hanno fatto delirare milioni di fanatici del calcio. Quel suo corpo che non gli servirà più per avere e dare piacere alle molte donne che ha avuto.
Quel suo corpo che non servirà più
a metabolizzare tutte le bottiglie di cachaça che ha bevuto, quel corpo non gli
servirà più a niente. L'autopsia rivelerà che il suo cervello, il cuore, i
polmoni, il fegato, il pancreas, l'intestino e i reni, erano parzialmente
distrutti dall'alcol. Un edema polmonare lo ammazza a metà dell'alba. Alle sei
del mattino del 21 gennaio 1983, l'infermiere Aimorè chiamò la dottoressa Fatima
che constatò il decesso. Lei prese prese carta e penna e informò la direzione
dell'ospedale. Muore così Manoel Dos Santos, detto Garrinchia, uno dei pochi
brasiliani che non ha bisogno di presentazioni. Anche chi non sa di football sa
che fu un genio del
dribbling, eroe di due campionati del mondo, l'uomo più amato dell'intero Brasile.
Sa anche della sua unione con la cantante Elza Soares e che dalla pagine
sportive è passato in quelle scandalistiche per le sue drammatiche vicende di
alcolizzato. Quando muore Garrincha, a 49 anni, nella miseria e nell'abbandono, un sentimento di colpa
di abbatte su tutto il Brasile, che ancora una volta si dimostra ingrato con
uno dei suoi figli più ingenui e più amati.
La stella di Garrincha
comincia a splendere il 13 marzo del 1953. Gioca in una squadra amatoriale, il Serrano di Petropolis,
lo portano a Rio per un provino al campo del Botafogo.Quel giorno sono in pochi
e, fatto inedito e straordinario, trova posto nelle riserve che giocano contro
i titolari. Garrincha gioca ala
destra e si trova di fronte il più grande laterale sinistro
di ogni epoca, quel Nilton Santos che
ha un soprannome che dice tutto: Enciclopedia. Su quel provino sono stati
scritti intere pagine di giornale, chi dice che Garrincha fece fare una
figuraccia al grande Nilton, chi racconta che alla fine Nilton lo voleva
prendere a cazzotti e così via.
Dai ricordi di Nilton:
"Quando lo vidi mi sembrava uno scherzo, con quelle gambe storte,
l'andatura da zoppo e il fisico di uno che può fare tante cose nella vita meno
una: giocare al calcio. Come gli passano la palla gli vado incontro cercando di
portarlo verso il fallo laterale per prendergliela con il sinistro, come facevo
sempre. Lui invece mi fa una finta, mi sbilancia e se ne va. Nemmeno il tempo
di girarmi per riprenderlo e ha già crossato. La seconda
volta mi fa passare la palla in mezzo alle gambe e io lo fermo con un braccio e
gli dico: senti ragazzino, certe cose con me non farle più. La terza volta mi
fa un pallonetto e sento ridere i pochi spettatori che assistono
all'allenamento. Mi incazzo e quando mi si ripresenta di fronte cerco di
sgambettarlo, ma non riesco a prenderlo. Alla fine vado dai dirigenti del
Botafogo e dico: tesseratelo subito, questo è un fenomeno..."E nei primi giorni di giugno,
il giugno del 1953, il Botafogo acquista
Garrincha dal Serrano di Petropolis per cinquecento cruzeiros, una cifra che
rapportata ai giorni nostri equivale a ventisette dollari, la cifra più bassa
che sia mai stata scritta su un contratto professionistico nella storia del calcio
brasiliano. Garrincha diventa la
stella del Botafogo e poi quella della nazionale brasiliana dove debutta il 18
settembre del 1955. Con la maglia oro-verde giocherà
quarantun partite, perdendo soltanto l'ultima (Ungheria-Brasile del 15 luglio
ai Mondiali del 1966). Durante il lungo raduno prima della spedizione in Svezia
per i campionati mondiali del 1958 tutti i giocatori vengono sottoposti a dei
test di intelligenza. In un punteggio da 0 a 123 Garrincha totalizzò 38
punti...
Un cronista lo venne a sapere e gli chiese se si considerava un mezzo
idiota. "Non sarò Rui Barbosa,
ma per fortuna non sono nemmeno Mazola...".
Questa la risposta. Mazola era il giovane centravanti del Palmeiras che poi
avrebbe giocato in Italia con il vero nome di Altafini. La relazione su Garrincha
spiegava: "Ha la psiche di
un bambino di quattro anni, non ha l'intelligenza per fare l'autista
d'omnibus". Curiosa la relazione su Pelè al quale
il dottor Carvalho, lo psicologo, attribuì un punteggio di 68, da idiota o
quasi. "Pelè è un
infantile, gli manca il necessario spirito alla lotta, è troppo giovane per
reagire con l'adeguata aggressività, non ha senso di responsabilità necessario
allo spirito di squadra, ne sconsiglio la convocazione".
Garrincha e Pelè hanno giocato assieme nella nazionale brasiliana dal 1958 al
1966 senza perdere una partita.
Il Brasile prima di sbarcare in
Svezia gioca diverse amichevoli in Europa, in una delle quali, a Firenze contro
la Fiorentina,
Garrincha parte titolare. L'hanno fortemente voluto in squadra i componenti la commissione
interna: Didi, Nilton Santos, Zito e Zagalo. Garrincha entusiasma, dribbling e assist,
poi sul 3-0 lascia tutti a bocca aperta: punta Robotti, lo scarta, poi evita
il portiere e invece di mettere la palla in rete aspetta ancora Robotti. Lo dribbla
un'altra volta mandandolo per terra e poi segna ridendo sguaiatamente.
Alcuni giocatori brasiliani gli corrono incontro, non per abbracciarlo, ma per
dargli un cazzotto. Gli urlano: "Cretino,
certe cose non si fanno, altrimenti prima o poi troverai qualcuno che ti spezza
una gamba".
In Svezia salta le prime
due partite perché la sera prima lo trovano ubriaco. Nella terza, in tre soli minuti
distrugge letteralmente l'Unione Sovietica. Mezza difesa avversaria dribblata,
una traversa, una paratissima di Jascin e una palla gol (realizzata) a Vavà. E' Mondiale, ma
tutti osannano Pelè,
la diciassettenne meraviglia nera. Josè
Altafini, ora brillante commentatore televisivo, ricorda quel Mondiale
giocato con il soprannome di Mazola. "L'ha
vinto Garrincha, come quello di quattro anni più tardi in Cile. Tutti dicono
Pelè, ma senza Garrincha quel Brasile non sarebbe stato immenso".
In Cile l'infortunio a Pelè
nella prima partita responsabilizza ancor
di più Garrincha che fa tutto: il centrocampista, l'attaccante e ilo goleador.
Nella semifinale con il Cile viene espulso per aver aggredito a calci nel
sedere il difensore Rojas,
e per non fargli saltare la finale (come da regolamento) interviene persino il
primo ministro del Brasile, Tancredo Neves,
chiedendo alla Fifa che non venga applicata la squalifica per meriti sportivi. Scrive persino che Garrincha in tutta la sua carriera
si è sempre distinto per correttezza e che mai e poi mai è stato espulso e
chiede, in nome del popolo brasiliano, il perdono di Garrincha.
Si muove la diplomazia internazionale,
viene fuori l'anticomunismo ("Se vincesse la
Cecoslovacchia sarebbe il trionfo degli eredi di Stalin"
gridano i dittatori brasiliani) e il presidente del Perù, Manuel Prado y
Ugarteche, attraverso l'ambasciatore in Cile chiede che Yamasaki (l'arbitro
cileno che aveva espulso Garrincha) scriva
nel suo referto che c'è stato un errore di persona...
E nel caso fosse chiamato a deporre anche il guardialinee i dirigenti
brasiliani intervengono anche su di lui: l'uruguayano Esteban Marino. Questi
viene accompagnato all'aeroporto di Santiago dai dirigenti Falcao e Di Giorgio,
viene fatto salire su un aereo per Montevideo, con scalo (di dieci giorni) a
Parigi...
Garrincha fu assolto con cinque
voti a favore e due contrari. E
pensare che prima di quella partita Garrincha era stato espulso tre volte: il
20 giugno del 1954 in Botafogo-Portuguesa, ma in quell'occasione per la verità
l'arbitro Monteiro espulse tutti e ventidue i giocatori e annullò la partita al
31'del secondo tempo. La seconda espulsione di Garrincha il 30 novembre 1954 in
Botafogo-Atletico Mineiro e la terza il 23 giugno 1956 in Barcellona-Botafogo,
nella città spagnola.
Garrincha gioca la finale e
risulta decisivo come in tutte le altre gare in Cile. C'è anche Elza Soares, la stella della
canzone brasiliana con una storia alle spalle, al confronto della quale quella
di Garrincha sembra un picnic domenicale. Elza quando conosce Manè ha trentun anni, tre
più di lui. Cresciuta in una favela, sposata a tredici anni con Alauerde
Soares, l'uomo che l'aveva stuprata tre anni prima, otto figli, dei quali tre
morti per fame, vedova a venticinque anni, quando conosce Garrincha sta uscendo dalle
umiliazioni della vita. La storia d'amore è una passione travolgente che
dura quasi venti anni. In Cile la stella di Garrincha è all'apice, ma ben presto
inizia la parabola discendente.
E' alcolizzato da tempo,
i compagni non lo aiutano di certo, è lasciato solo, ricade nella miseria più nera
e l'alcolismo lo divora giorno dopo giorno. Gli ingaggi sono sempre più rari e
all'inizio degli Anni '70, quando segue Elza in una tournèe in Italia gioca
anche a Torvaianica, in una squadra dopolavoristica che si chiama Lazio. Torna
in Brasile e da ubriaco, guidando senza patente, in un incidente ammazza la
suocera. Un altro incidente era accaduto anni prima e aveva investito il padre,
scampato alla morte per miracolo.
Tenta il suicidio,
continua a bere e ad avere figli. Alla fine quelli riconosciuti saranno 14,
undici femmine e tre maschi, più Ulf Lindberg un figlio avuto da un'avventura
con una svedese ai Mondiali del 1958. La parabola discendente di Garrincha non
rallenta nè si ferma. Anzi. Precipita negli abissi della miseria più nera e
dell'abbandono. La morte arriva pietosa all'alba di quel 21 gennaio del 1983 ad
alleviargli la solitudine.
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