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"Non è il buono contro il cattivo e fare in modo che vinca il buono. Il senso del calcio è che vinca il migliore in campo, indipendentemente dalla storia, dal prestigio e dal budget."

Johan Cruijff

domenica 29 giugno 2014

Fattore Centimetri

Questione di centimetri, la traversa di Pinilla al 119'. Questione di centimetri, il palo interno del rigore decisivo. Tutta una questione di centimetri. Ogni cosa, dall'arbitro giapponese della prima partita ai fortunosi casi di ieri, passando per l condizione strepitosa di Julio Cesar, sembrano sostenere che sará il Brasile a trionfare sul resto del mondo. Il Cile ha fatto il possibile. Sampaoli ha costruito una squadra compatta, dove persino Isla, comparsa alla Juventus, riesce a tenere a bada un colosso come Hulk. Due fuoriclasse su tutti: Vidal e Sanchez. E Medel, un eretico del suo ruolo con i suoi soli 1,71 centimetri di altezza.
Dall'altra parte un Brasile che va a fiammate, di solito del suo talento piú atteso, Neymar, che ha deciso di prendersi non solo la squadra, ma anche tutta la nazione sulle sue gracili spalle. Accanto a lui, tanti bei giocatori, che peró Scolari, di sicuro non un totem del bel gioco, non riesce a sistemare in una orchesta un minimo armoniosa. Manca un riferimento in mezzo al campo, uno che riesca a far arrivare la palla ai tre davanti senza passare per lanci improbabili. Uno che giochi semplice. Ci sarebbero Oscar e Willian, che peró, tra posizioni in campo non ideali e forma non ottimale, paiono piuttosto spaesati.
Il Brasile deve cambiare in fretta; é vero non troverá sempre il Cile davanti a sé, ma vincere giocando male, é un benevolo segno che qualcosa deve essere aggiustato. I rigori di ieri devono essere un ulteriore incentivo a non trascurare troppo i propri difetti

mercoledì 25 giugno 2014

Fattore Fallimento

Parlare adesso è come sparare sulla Croce Rossa, ma è necessario farlo. La partita di ieri sera è stata quella che ha sancito un grande fallimento, forse il più grande della storia del calcio italiano. Non esagero, purtroppo. Parto dal 2010. Lippi esce distrutto dall'esperienza sudafricana con un girone morbido: Italia, Paraguay, Nuova Zelanda e Slovacchia. Ci fu una mancanza di ricambio adeguato. Non c'era più quella impertinente spensieratezza che ci aveva portato sul tetto del mondo a Berlino. Era una squadra che aveva bisogno di dimostrare molto e alla fine non dimostrò niente.
La panchina venne affidata a Cesare Prandelli, persona squisita, ma con un curriculum non certo di un vincente. Agli Europei del 2012, riuscimmo, a fatica e a sorpresa a conquistare il secondo posto. La Spagna campione di tutto ci rifilò un sonoro 4-0. Complici furono, allora, le scelte di formazione di Prandelli, che vollero premiare anche giocatori che non avevano nè testa nè fiato per giocare, su tutti Chiellini e De Rossi.
Da allora sono state sprecate (e mi raccomando non spese) tante, troppe parole. Riguardo a tutto: sul ruolo "politico", sul ruolo etico e sul ruolo tattico di una Nazionale povera di campioni e acerba di talenti.
Prandelli ha difeso a spada tratta Balotelli, esaltando i suoi pregi, come si fa con i soprammobili da mettere in prima vista, e nascondendo i suoi limiti, come si fa con la polvere sotto il tappeto.
Ha applicato il cosiddetto "codice etico", sulla cui utilità e chiarezza, nutro ancora profondi dubbi. E' stato applicato solo quando conveniva, vedi i casi riguardanti Criscito e Bonucci, Destro e Chiellini.
Infine, ha mandato in Brasile un gruppo di giocatori, che chiamare "squadra" sarebbe una battuta piuttosto audace. Partendo dalla convocazione di Cassano, fuori dal giro della Nazionale da più di un anno, fino alla fiducia in Thiago Motta e Balotelli. Prandelli è stato vittima del suo orgoglio al momento delle convocazioni e della sua pancia da tifoso in campo. Si è fatto promotore del 4-3-1-2 per anni, pur sapendo di non avere un trequartista degno di questo nome, per arrivare in Brasile con il 3-5-2, passando inoltre per il 3-6-1 (sì, sono d'accordo con Zeman). Si è passati dalle due punte più mezzali improvvisate trequartisti per arrivare all'unica mezza punta. Confusione totale.
Arrivando alla partita di ieri, il fallimento è figlio di due padri. Il primo, l'arbitro. Il rosso di Marchisio e l'azzannata di Suarez (che andrebbe allontanato dai campi di gioco per il bene dei giovani che potrebbero prenderlo d'esempio), sono errori da matita blu. Il secondo padre, quello più influenzante è stato Prandelli e le sue scelte. Su invocazione popolare ha schierato la difesa a tre, pur non essendone uno stimatore, e la coppia Balotelli-Immobile, pur non essendone convinto. Poi si è passati dalla sostituzione peggiore che potesse fare: fuori un attaccante per un centrocampista, Balotelli per Parolo. Si è passati, successivamente, alla seconda sostituzione peggiore che potesse fare: fuori una punta "di movimento" per una mezza punta piuttosto spuntata, Immobile per Cassano. Infine, come se non bastasse, fuori Verratti per Thiago Motta. . Aggiungere un centrocampista di livello mediocre, un giocatore finito anni fa e uno con grossi limiti tecnici, sono, questi sì, stati gli errori che ci hanno buttato fuori dal Mondiale.
Prandelli ha rassegnato le dimissioni, giusto. Con lui anche Abete e compagnia bella, sacrosanto. Ora basta dirigenti che non capiscono di calcio, portati sul trono dalla politica e dal potere. Hanno fallito una sfilza di incompetenti, obsoleti e vittime delle loro stesse vane parole.
Vorrei solo aprire una breve parentesi su Tabarez, Lugano e Suarez. Le loro parole, i loro comportamenti sono aberranti, indifendibili. Negare i fatti, sbandierare la falsa moralità e nascondersi dietro all'indifferenza, sono atteggiamenti riprovevoli sia per un vecchio allenatore, sia per un capitano e sia per un grande talento.
Da parte nostra è ora che si riparta da zero, tornando a parlare, finalmente, di calcio.

venerdì 20 giugno 2014

Fattore Costa Rica

Ed ecco il tracollo. Speravo, speravamo con un'altra squadra; un'altra piccola Corea (2002), forse un'altra Nuova Zelanda (2010). Il Costa Rica batte, meritatamente, un'Italia senz'anima, senze idee e senza fiato. Completamente sbagliate le scelte Thiago Motta e Abate. Il primo gravato dal fisico non troppo resistente e non di sicuro da velocista, ma non è una cosa che si scopre oggi. Il secondo vittima di uno stato di forma pessimo, che si è trascinato dietro negli ultimi mesi al Milan. Prandelli ha cercato di riparare la pezza inserendo Cassano, sulla cui tenuta fisica credo di aver già dato opinioni non troppo favorevoli e Insigne in una posizione non ottimale per esprimersi. Risultato: buio pesto. E noi, buoi pestati, senza tanti giri di parole.
Troppo concentrati sul difenderci da Joel Cambpell, ci siamo completamente dimenticati di attaccare, lasciando Balotelli in balia dei suoi pregi e difetti.
Raccogliamo gli appunti della lezione più vecchia del mondo: ai Mondiali non si fanno conti. Non si pensa al turnover e non si sottovaluta neanche il piccolo staterello situato tra Panama e Nicaragua.
Il prossimo giro, quello con l'Uruguay, è da dentro e fuori. Non voglio ritirare fuori l'ormai sfruttata credenza secondo cui tiriamo fuori il meglio di noi stessi solo con le spalle al muro, lo facemmo anche nel 2010. E non ci fu, ahinoi, un lieto fine. Basta solo giocare, cosa che, stasera, non siamo riusciti a fare.

domenica 15 giugno 2014

Fattore Inghilterra

L'Italia regge e regola l' Inghilterra con un giusto 2-1. Partita piacevole, di sostanza, ma non perfetta. Prandelli ha scelto una buona formazione, ma non è ancora riuscito a sistemarla bene in campo: ci sono ancoramolte zone scoperte e le numerose parate di Sirigu ne sono la conferma, più che le prove. Il goal di Sturridge è iuttosto emblematico; assenza dei terzini, mal disposizione di Paletta e insaccata del colosso nero. Un' azione da manuale. Ci sono state altre occasioni simili, per nostra fortuna è sempre mancata la precisione determinante.
Nonostante ciò, una bella Italia. Non sono ancora del tutto convinto dalla posizione di Verratti. Mi sembra, che più che a Pirlo, pesti i piedi a De Rossi. Ma siamo solo agli inizi, c'è tutto il tempo per migliorare queste piccole imperfezioni. Avevo optato, come migliori giocatori, per Darmian e Candreva da una parte e Baines e Sterling dall'altra. Direi che ci ho preso, nonostante debba avere una nota di merito anche Balotelli. Non è semplice, per uno con le sue caratteristiche, reggere tutto il fronte offensivo. E' riuscito a tenere duro e alla fine, si è preso pure il premio del goal-partita.
L'Inghilterra, da parte sua, ha disputato una discreta partita; sono sicuro che dimostrerà il proprio valore anche nelle prossime partite. Un pò di precisione in più e staremmo parlando di un pareggio.
Le uniche note stonate della partita sono Paletta e Chiellini terzino. Al primo avrei preferito di gran lunga Bonucci, con il secondo non avrei azzardato quella posizione, dal momento che con Conte non la più mantenuta da due anni e mezzo.
Ora sotto con la Costa Rica, che ha fatto fessa l' Uruguay di Tabarez e Cavani. Sarebbe un brutto colpo uno scivolone con i Ticos, dopo aver domani i Tre Leoni.

sabato 14 giugno 2014

Fattore Pronosticao

L'Olanda era stata data già per morta. Invece, come nelle più appassionanti e crudeli partite, gli orange si sono presi una grand bella rivincita. Cinque goal e vendetta servita. Due grandi squadre a confronto, con i due allenatori migliori al mondo. Da una parte l'arrogante e intransigente Van Gaal, dall'altra il pacato e pacificatore Del Bosque. Calcio verticale contro calcio orizzontale. Per anni ha dominato il secondo, ma ieri sera il palcoscenico se lo è preso il primo. Perdonate la schiettezza, ma dopo anni di noia, ho finalmente goduto anch'io.
L'Olanda ci farà vedere grandi cose, Van Persie e Robben permettendo. Le Furie rosse usciranno comunque a testa alta, ne sono convinto.
Stasera o domani mattina, come preferite, l'Italia affronterà l' Inghilterra. La squadra di Hodgson non è quella di due anni fa, è un mix di giocatori esperti e giovani promesse, proprio come l'Olanda. Hodgosn non è Van Gaal, ma conosce il calcio meglio di Prandelli. Nonostante ciò non credo che arriverà una sonora batosta. La giungla e il suo clima impervio possono giocare brutti scherzi, da entrambe le parti.
Loro non hanno pressioni, noi non abbiamo più quella somma referenza nei loro confronti. Vincerà più il fisico che la tecnica, protagonisti saranno Darmian e Baines, Candreva e Sterling.
Riguardo ai pronostici che feci mesi fa, direi che posso parzialmente riconfermarli. Dissi che le sorprese sarebbero state Belgio e Colombia: riconfermo la prima e dubito sulla seconda, vittima di Falcao e diversi altri. Per le favorite nella vittoria finale dico Argentina, Germania, Brasile (aiutini inclusi) e Belgio.
Ai posteri l'onere di smentirmi.

mercoledì 11 giugno 2014

Fattore Brasile #5

A un giorno dall' inizio dei Mondiali in Brasile, ho deciso di ripercorrere le gesta di alcuni simboli del calcio brasiliano e del Brasile. Paese di grandi talenti, alcuni rimasti solo meteore, altri diventati stelle.
Continuo dunque questa breve rubrica con un uomo molto particolare. Dotato di una classe immensa, di un dribblig ubriacante, ma anche di una piccola malformazione fisica; sono queste le caratteristiche che, in poco tempo, lo hanno consacrato come una delle più celebri icone del calcio brasiliano. Sto naturalmente parlando di Manoel Francisco dos Santos, meglio noto come Garrincha. Putroppo la sua fine fu più ingloriosa di quello che avrebbe dovuto essere. Non tutte le belle storie hanno il lieto fine.
Ecco un articolo tratto dal portale StorieDiCalcio

LINK: http://www.storiedicalcio.altervista.org/garrincha.html

IL GARRINCHA: L' ANGELO DALLE GAMBE STORTE


La sera nel 20 gennaio del 1983 all'ospedale Alto da Boavista sopra Rio de Janeiro, due medici, Ana Helenio Bastos e Maria Beatriz Carneiro da Cunha mettono Garrincha su una sedia a rotelle e lo trasportano al padiglione Santa Teresa, quello riservato agli alcolizzati. Gli somministrano del siero glicosado, Griplex, Lasix e vitamina B e dicono agli inferimieri di legarlo al letto, se necessario.Garrincha è lasciato addormentato e solo, la stella più solitaria di quella notte estiva. Tutto il suo corpo era in rivoluzione, quel corpo che non gli servirà più per scattare sulla linea destra e trasformare i suoi dribbling, sempre eguali e sempre diversi, in autentici numeri che hanno fatto delirare milioni di fanatici del calcio. Quel suo corpo che non gli servirà più per avere e dare piacere alle molte donne che ha avuto.



Quel suo corpo che non servirà più a metabolizzare tutte le bottiglie di cachaça che ha bevuto, quel corpo non gli servirà più a niente. L'autopsia rivelerà che il suo cervello, il cuore, i polmoni, il fegato, il pancreas, l'intestino e i reni, erano parzialmente distrutti dall'alcol. Un edema polmonare lo ammazza a metà dell'alba. Alle sei del mattino del 21 gennaio 1983, l'infermiere Aimorè chiamò la dottoressa Fatima che constatò il decesso. Lei prese prese carta e penna e informò la direzione dell'ospedale. Muore così Manoel Dos Santos, detto Garrinchia, uno dei pochi brasiliani che non ha bisogno di presentazioni. Anche chi non sa di football sa che fu un genio del dribbling, eroe di due campionati del mondo, l'uomo più amato dell'intero Brasile. Sa anche della sua unione con la cantante Elza Soares e che dalla pagine sportive è passato in quelle scandalistiche per le sue drammatiche vicende di alcolizzato. Quando muore Garrincha, a 49 anni, nella miseria e nell'abbandono, un sentimento di colpa di abbatte su tutto il Brasile, che ancora una volta si dimostra ingrato con uno dei suoi figli più ingenui e più amati.


La stella di Garrincha comincia a splendere il 13 marzo del 1953. Gioca in una squadra amatoriale, il Serrano di Petropolis, lo portano a Rio per un provino al campo del Botafogo.Quel giorno sono in pochi e, fatto inedito e straordinario, trova posto nelle riserve che giocano contro i titolari. Garrincha gioca ala destra e si trova di fronte il più grande laterale sinistro di ogni epoca, quel Nilton Santos che ha un soprannome che dice tutto: Enciclopedia. Su quel provino sono stati scritti intere pagine di giornale, chi dice che Garrincha fece fare una figuraccia al grande Nilton, chi racconta che alla fine Nilton lo voleva prendere a cazzotti e così via.

Dai ricordi di Nilton: "Quando lo vidi mi sembrava uno scherzo, con quelle gambe storte, l'andatura da zoppo e il fisico di uno che può fare tante cose nella vita meno una: giocare al calcio. Come gli passano la palla gli vado incontro cercando di portarlo verso il fallo laterale per prendergliela con il sinistro, come facevo sempre. Lui invece mi fa una finta, mi sbilancia e se ne va. Nemmeno il tempo di girarmi per riprenderlo e ha già crossato. La seconda volta mi fa passare la palla in mezzo alle gambe e io lo fermo con un braccio e gli dico: senti ragazzino, certe cose con me non farle più. La terza volta mi fa un pallonetto e sento ridere i pochi spettatori che assistono all'allenamento. Mi incazzo e quando mi si ripresenta di fronte cerco di sgambettarlo, ma non riesco a prenderlo. Alla fine vado dai dirigenti del Botafogo e dico: tesseratelo subito, questo è un fenomeno..."E nei primi giorni di giugno, il giugno del 1953, il Botafogo acquista Garrincha dal Serrano di Petropolis per cinquecento cruzeiros, una cifra che rapportata ai giorni nostri equivale a ventisette dollari, la cifra più bassa che sia mai stata scritta su un contratto professionistico nella storia del calcio brasiliano. Garrincha diventa la stella del Botafogo e poi quella della nazionale brasiliana dove debutta il 18 settembre del 1955. Con la maglia oro-verde giocherà quarantun partite, perdendo soltanto l'ultima (Ungheria-Brasile del 15 luglio ai Mondiali del 1966). Durante il lungo raduno prima della spedizione in Svezia per i campionati mondiali del 1958 tutti i giocatori vengono sottoposti a dei test di intelligenza. In un punteggio da 0 a 123 Garrincha totalizzò 38 punti...



Un cronista lo venne a sapere e gli chiese se si considerava un mezzo idiota. "Non sarò Rui Barbosa, ma per fortuna non sono nemmeno Mazola...". Questa la risposta. Mazola era il giovane centravanti del Palmeiras che poi avrebbe giocato in Italia con il vero nome di Altafini. La relazione su Garrincha spiegava: "Ha la psiche di un bambino di quattro anni, non ha l'intelligenza per fare l'autista d'omnibus". Curiosa la relazione su Pelè al quale il dottor Carvalho, lo psicologo, attribuì un punteggio di 68, da idiota o quasi. "Pelè è un infantile, gli manca il necessario spirito alla lotta, è troppo giovane per reagire con l'adeguata aggressività, non ha senso di responsabilità necessario allo spirito di squadra, ne sconsiglio la convocazione". Garrincha e Pelè hanno giocato assieme nella nazionale brasiliana dal 1958 al 1966 senza perdere una partita.

Il Brasile prima di sbarcare in Svezia gioca diverse amichevoli in Europa, in una delle quali, a Firenze contro la Fiorentina, Garrincha parte titolare. L'hanno fortemente voluto in squadra i componenti la commissione interna: Didi, Nilton Santos, Zito e Zagalo. Garrincha entusiasma, dribbling e assist, poi sul 3-0 lascia tutti a bocca aperta: punta Robotti, lo scarta, poi evita il portiere e invece di mettere la palla in rete aspetta ancora Robotti. Lo dribbla un'altra volta mandandolo per terra e poi segna ridendo sguaiatamente. Alcuni giocatori brasiliani gli corrono incontro, non per abbracciarlo, ma per dargli un cazzotto. Gli urlano: "Cretino, certe cose non si fanno, altrimenti prima o poi troverai qualcuno che ti spezza una gamba".

In Svezia salta le prime due partite perché la sera prima lo trovano ubriaco. Nella terza, in tre soli minuti distrugge letteralmente l'Unione Sovietica. Mezza difesa avversaria dribblata, una traversa, una paratissima di Jascin e una palla gol (realizzata) a Vavà. E' Mondiale, ma tutti osannano Pelè, la diciassettenne meraviglia nera. Josè Altafini, ora brillante commentatore televisivo, ricorda quel Mondiale giocato con il soprannome di Mazola. "L'ha vinto Garrincha, come quello di quattro anni più tardi in Cile. Tutti dicono Pelè, ma senza Garrincha quel Brasile non sarebbe stato immenso".



In Cile l'infortunio a Pelè nella prima partita responsabilizza ancor di più Garrincha che fa tutto: il centrocampista, l'attaccante e ilo goleador. Nella semifinale con il Cile viene espulso per aver aggredito a calci nel sedere il difensore Rojas, e per non fargli saltare la finale (come da regolamento) interviene persino il primo ministro del Brasile, Tancredo Neves, chiedendo alla Fifa che non venga applicata la squalifica per meriti sportivi. Scrive persino che Garrincha in tutta la sua carriera si è sempre distinto per correttezza e che mai e poi mai è stato espulso e chiede, in nome del popolo brasiliano, il perdono di Garrincha.

Si muove la diplomazia internazionale, viene fuori l'anticomunismo ("Se vincesse la Cecoslovacchia sarebbe il trionfo degli eredi di Stalin" gridano i dittatori brasiliani) e il presidente del Perù, Manuel Prado y Ugarteche, attraverso l'ambasciatore in Cile chiede che Yamasaki (l'arbitro cileno che aveva espulso Garrincha) scriva nel suo referto che c'è stato un errore di persona... E nel caso fosse chiamato a deporre anche il guardialinee i dirigenti brasiliani intervengono anche su di lui: l'uruguayano Esteban Marino. Questi viene accompagnato all'aeroporto di Santiago dai dirigenti Falcao e Di Giorgio, viene fatto salire su un aereo per Montevideo, con scalo (di dieci giorni) a Parigi...

Garrincha fu assolto con cinque voti a favore e due contrari. E pensare che prima di quella partita Garrincha era stato espulso tre volte: il 20 giugno del 1954 in Botafogo-Portuguesa, ma in quell'occasione per la verità l'arbitro Monteiro espulse tutti e ventidue i giocatori e annullò la partita al 31'del secondo tempo. La seconda espulsione di Garrincha il 30 novembre 1954 in Botafogo-Atletico Mineiro e la terza il 23 giugno 1956 in Barcellona-Botafogo, nella città spagnola.

Garrincha gioca la finale e risulta decisivo come in tutte le altre gare in Cile. C'è anche Elza Soares, la stella della canzone brasiliana con una storia alle spalle, al confronto della quale quella di Garrincha sembra un picnic domenicale. Elza quando conosce Manè ha trentun anni, tre più di lui. Cresciuta in una favela, sposata a tredici anni con Alauerde Soares, l'uomo che l'aveva stuprata tre anni prima, otto figli, dei quali tre morti per fame, vedova a venticinque anni, quando conosce Garrincha sta uscendo dalle umiliazioni della vita. La storia d'amore è una passione travolgente che dura quasi venti anni. In Cile la stella di Garrincha è all'apice, ma ben presto inizia la parabola discendente.

E' alcolizzato da tempo, i compagni non lo aiutano di certo, è lasciato solo, ricade nella miseria più nera e l'alcolismo lo divora giorno dopo giorno. Gli ingaggi sono sempre più rari e all'inizio degli Anni '70, quando segue Elza in una tournèe in Italia gioca anche a Torvaianica, in una squadra dopolavoristica che si chiama Lazio. Torna in Brasile e da ubriaco, guidando senza patente, in un incidente ammazza la suocera. Un altro incidente era accaduto anni prima e aveva investito il padre, scampato alla morte per miracolo.

Tenta il suicidio, continua a bere e ad avere figli. Alla fine quelli riconosciuti saranno 14, undici femmine e tre maschi, più Ulf Lindberg un figlio avuto da un'avventura con una svedese ai Mondiali del 1958. La parabola discendente di Garrincha non rallenta nè si ferma. Anzi. Precipita negli abissi della miseria più nera e dell'abbandono. La morte arriva pietosa all'alba di quel 21 gennaio del 1983 ad alleviargli la solitudine.

 

martedì 10 giugno 2014

Fattore Brasile #4



A due giorni dall' inizio dei Mondiali in Brasile, ho deciso di ripercorrere le gesta di alcuni simboli del calcio brasiliano e del Brasile. Paese di grandi talenti, alcuni rimasti solo meteore, altri diventati stelle.
Continuo dunque questa breve rubrica con quello che è stato probabilmente l'attaccante più completo della storia del Calcio: Ronaldo Luís Nazário de Lima, per tutti Ronaldo. Eletto due volte Pallone d'Oro, è conosciuto anche per la sue vita extra-calcistica, un lato su cui, però, non vorrei soffermarmi, preferendo le giocate da vero Fenomeno, quello sul campo di gioco.
Ecco un articolo tratto dal portale StorieDiCalcio
LINK:http://www.storiedicalcio.altervista.org/ronaldo-il-fenomeno.html

RONALDO: O FENOMENO 

A fine Ottocento re Doni Pedro III ordinò la costruzione della ferrovia e in un attimo, a ridosso delle
rotaie, come cuccioli attorno a una cagna, si raccolsero disordinati gruppi di case, scatole a un piano con il tetto piatto bruciato dal sole. Bento Ribeiro, quartiere povero alla periferia nord-ovest di Rio de Janeiro, è una nidiata del genere. Qui, al 114 di rua General Cesar Obino, il 22 settembre 1976, nasce Ronaldo Luiz Nazario de Lima, figlio di Sonia e di Nelio Nazario de Lima, che hanno già messo al mondo Yone, 4 anni e Nelinho, 3. Lo chiamano Ronaldo dal nome dell'uomo che lo ha aiutato a venire al mondo: il dottor Ronaldo Valente. In realtà il vero battesimo glielo somministra il fratellino Nelinho che proprio non ce la fa a pronunciare tutte quelle consonanti diverse e semplifica: Dadado.


Ronaldo resta a lungo Dadado, anche per gli amici che giocano nel suo cortile, un fazzoletto di terra irregolare, circondato da muri bianchi e presidiato da un albero di mango. In quel fazzoletto, appena Ronaldo riesce a mettersi in piedi, cominciano le partite di "pelada, cioè calcio da strada a piedi nudi, con la palla che a forza di strisciare sui muri e sui sassi si "spela", appunto, e diventa sempre più simile al gomitolo di stracci che ha svezzato generazioni di fuoriclasse brasiliani. Poi arriva la prima squadretta: Tennis Club Valqueire, calcio a 5.



La cosa buffa è che insieme alla prima maglia ufficiale, gli consegnano anche un paio di guanti perché Dadado si mette in testa di fare il portiere. Il giorno che se li toglie e decide: "Vado in attacco", comincia ufficialmente la leggenda del Fenomeno. Allenato da polverosi anni di "pelada" Ronaldo si muove come un rettile negli spazi stretti del calcio a 5 e riempie le reti di gol, compresa quella del ricco Vasco da Gama. È qui che gli cascano addosso le prime occhiate. E il primo mini-trasferimento: Social Ramos, squadra della città, ma sempre campo piccolo, non quello grande di Zico. Ogni volta che ha un pallone al piede, Dadado gioca a sentirsi il Galinho al centro del mitico Maracanà, con la maglia del Flamengo.



Lo sogna così tanto che riesce a procurarsi un provino vero al Flamengo. II gran giorno, mamma Sonia gli mette al polso Yorologio della prima comunione e Ronaldo parte in treno per raggiungere il centro d'allenamento dei rossoneri, a Gavea. E' la prima grande delusione della sua vita. Al ritorno in treno, due balordi gli rubano l'orologio. Ma, soprattutto, il Flamengo, pur conquistato dal provino, non può pagargli il biglietto del treno o dei sei autobus che collegano Bento Ribeiro a Gavea, per gli allenamenti. La povertà non è una casa brutta, ma dover rinunciare ai sogni che ti sei meritato: questo impara dolorosamente Dadado.






A 11 ci gioca così con il meno nobile Sao Cristovao e anche qui sono gol a grappoli. Tanto che un bancario di nome Alexandre Martins, a tempo perso cacciatore di talenti, avverte eccitato il compagno di sportello Reinaldo Pitta: "Ho trovato una pepita grossa così...". Acquistano il cartellino di Ronaldo per 7.500 dollari. E' l'intuizione che li dispenserà per sempre dal sudore. Li chiameranno il Gatto e la Volpe. Portano Ronaldo al Cruzeiro di Belo Horizonte, zona di miniere, l'ideale per raffinare la pepita. Il ragazzo si presenta a Donna Sonia: "Per favore, mamma, da oggi non chiamatemi più Dadado. Ora sono un calciatore vero. Ho 16 anni".



I compagni più anziani del Cruzeiro lo adottano volentieri e non solo perché il bambino di Bento Ribeiro con l'apparecchio ai denti fa tenerezza. Alla fine della stagione 93-94 i numeri dicono questo: tra campionato, coppa del Brasile e spiccioli, 54 partite, 56 gol. Cinque in una partita sola che a Belo Horizonte non dimenticheranno. Jairzinho, leggenda della Selecao, d.s. del Cruzeiro spiega: "Dare la palla a Ronaldo è aver già segnato mezzo gol". In panca c’è un altro mondiale messicano: Carlos Alberto. Pelé viene scomodato nel paragone perché il bimbo dai denti di ferro esordisce in nazionale a 17 anni contro l'Argentina: esattamente come O'Rei.



Carlos Alberto Parreira si porta al mondiale Usa il reuccio di Bento Ribeiro, coccolato da un'intera nazione, ma non lo fa mai esordire. Anche per questo, tutto il Brasile in coro gli urla "Burro! ', "Asino!",

a ripetizione. Solo che poi Parreira ci batte in finale ai rigori e l'Asino diventa di colpo un purosangue di razza da consegnare alla storia. Nella foto del trionfo, Ronaldo è sdraiato a terra, ugualmente felice, sotto la coppa, accanto a Romario. Il Gatto e la Volpe hanno venduto il Fenomeno al Psv Eindhoven, lex squadra di Romario passato al grande Barcellona. "Cosa c'è a Eindhoven?", chiede Ronaldo. "Freddo", risponde il Baixinho. "E poi?'' "La Philips . "E poi?", insiste Ronaldo. "Basta. Il freddo e la Philips", tronca Romario.



Una sera a fine allenamento, i giocatori del Psv osservano il brasiliano che si toglie un calzettone dopo l'altro e ne contano dieci, prima di scoppiare a ridere. Freddo ai piedi e al cuore: la grigia Eindhoven sta a un paio di galassie dal sole di Rio. Mamma Sonia accorre per coccolarlo e combattere la cucina olandese. Ma il regalo migliore glielo fa Vampeta, compagno di squadra, futuro interista. "E venuto un mio amico d'infanzia, si chiama Cesar. Può darti una mano. Cesar diventerà un fratello per Ronaldo e molto altro: segretario, fattorino, confidente. Insieme al fido Cesar, combattere i mulini a vento della Philips diventa molto più semplice. Anche perché da Belo Horizonte è sbarcata Nadia, studentessa aspirante modella.





Nel suo primo campionato olandese, Ronaldo segna 30 gol in 32 partite. Ad ogni centro, i tifosi caricano la R: Rrrrrrrrronaldo! Il brasiliano sorride perche la cosa lo diverte. Allarga le braccia e corre felice mostrando i suoi denti di ferro. Nella primavera del '95 va a fare shopping a Milano e, tramite il procuratore Giovanni Branchini, stringe per la prima volta la mano a Massimo Moratti. Nel febbraio '96 viene operato al ginocchio destro: apofisite tibiale. Suona peggio di quel che è: sofferenze di tendini e legamenti, provati dalla crescita dell'ex Dadado che ora pesa 80 kg e misura 183 cm. Si sta strappando la camicia sul corpo di Hulk che presto diventerà il Fenomeno del Barcellona.



Il tempo di litigare con il Psv, di perdere dolorosamente la semifinale olimpica di Atlanta contro la Nigeria di Kanu, ed eccolo in Catalogna, estate del 96. Il decollo nella Liga è verticale e impressionante: 12 gol nelle prime 10 partite. Uno dei due che segna il 12 ottobre al Compostela non sarà dimenticata. Minuto 35: ruba palla a Passi nelle sua metà campo, percorre 47 metri in 11 secondi, toccando 14 volte la palla e saltando 5 avversari. Bobby Robson, tecnico del Barça, invece di esultare, si spaventa: "Com'è possibile?". Ronaldo poi vola in Brasile, segna 3 gol alla Lituania, torna e ne fa altri 2 al Logrones. Quindi: 7 gol e due voli oceanici in 7 giorni. "Extraterrestre' titola Marca.



Una radio di Barcellona indice un concorso per il soprannome a Ronaldo: vincono "E.T." e "Inumano". Un Fenomeno, insomma. Come fermarlo? Miguel Angel Lotina, tecnico del Logrones risponde: "Io un'idea ce l'avrei: sparargli". Pichichi della Liga (34 gol in 37 match), Ronaldo segna il rigore decisivo al Paris S.G. nella finale di Coppa Coppe. Solleva pure Coppa e Supercoppa di Spagna. Quanto basta per il premio Fifa World Player '96: a 20 anni Ronaldo, ex portiere, è già il più forte giocatore del mondo. E' il momento di trattare e monetizzare, pensano il Gatto e la Volpe. Ronaldo sbarca a Milano-Linate il 25 luglio 1997, alle ore 8.10. Ha un orecchino al lobo sinistro, jeans neri e camicia a scacchi. Tiene per mano la bionda Susana Werner, modella, attrice, in arte Ronaldinha.



Alloggiano nella suite del Principe di Savoia che pochi giorni prima ha ospitato Lady Diana. Il 12 settembre a Bologna Ronaldo segna il primo gol in serie A, grazie a una finta che sdraia Massimo Paganin, poi allarga le braccia per volare di gioia sotto la pioggia. Un mesetto più tardi, tripletta in coppa Italia a Piacenza. L'ultimo gol, slalom da destra a sinistra tra cinque paletti umani, fa scattare in piedi tutto lo stadio. E passato quasi un anno esatto da Compostela (12 ottobre '96-15 ottobre '97): stessa strategia di conquista. L'Italia, come la Spagna, è incantata dall'Inumano. Il popolo nerazzurro comincia a cantare con orgoglio: "Il Fenomeno ce l'abbiamo noi" e a guardare ai recenti cicli di Milan e Juve senza vergogna.





E' arrivato l'uomo che può cambiare la storia. Infatti, 4 gennaio 1998: Inter-Juve 1-0. Ronaldo non segna, ma risolve la partita al 47' quando decide di partire sulla fascia destra. Iuliano cerca di fermarlo, aggrappandosi e scalciando, sembra il passeggero che tenta invano di salire su un tram in corsa. Djorkaeff deve solo spingere in rete il pallone che porta l'Inter capolista a + 4 sulla Juve. 22 marzo 1998: Milan-Inter 0-3. Tra i due gol di Simeone, il Fenomeno inserisce un delizioso esterno destro che scavalca Seba Rossi. La Nord canta: "Il tabellone, guardate il tabellone! ". Peppino Prisco gongola e infierisce: "Peccato il 4-0 sbagliato da Cauet'. Dopo la doppietta alla Roma con due accelerazioni spaventose, il giallorosso Candela riconosce: "Per fermarlo ci volevano i Carabinieri".



Sparargli o arrestarlo: dalla Spagna all'Italia cambia poco. Ire giorni dopo la doppietta di Roma, Ronie ne segna un'altra a Mosca, su un campo infame: una lastra di ghiaccio che si trasforma in una risaia di fango. La seconda rete allo Spartak del Fenomeno è da vangelo apocrifo: in un amen scatta, cammina sulle acque, aggira il portiere e mette dentro, prima di spiegare: "Mi sembrava di essere a Bento Ribeiro, quando pioveva forte ed uscivamo a giocare nelle pozzanghere". L'Inter e in finale di coppa Uefa. Il popolo che canta "Il Fenomeno ce l'abbiamo noi", a questo punto, si prepara all'abbuffata.



Ma il 26 aprile 1998 si gioca Juve-lnter: bianconeri a +2 a quattro dal termine. Del Piero porta in vantaggio la Signora, poi si scatena Ronaldo. luliano stavolta neppure ci prova a salire sul treno in corsa. Lo ferma con il corpo e con le mani. Per l'arbitro Ceccarini, e pochi altri, non è rigore. Gigi Simoni furibondo zompa in campo per rincorrerlo: "Si vergogni! Si vergogni!". Ronaldo tuona: "Mi sento derubato. Il calcio è allegria se si gioca 11 contro 11, non 11 contro 12. Ma il mondo ha visto. Ronie, Simoni e tutti gli altri si consolano a Parigi, nel salotto del Parco dei Principi, sollevando la coppa Uefa: 6 maggio 1998, Inter-Lazio 3-0. Il Fenomeno sigilla il conto alla sua maniera: s'ingoia metà campo, sdraia Marchegiani con una finta, lo aggira e parcheggia in rete il 34° gol stagionale.



Moratti gonfia il petto: "Ronaldo è un'enciclopedia che sfogliamo solo noi". Tutti convinti che con un fuoriclasse del genere il futuro splenderà più di Parigi. Invece il Mondiale '98, che Ronaldo perde nella finale con la Francia, preceduta dal misterioso malore del Fenomeno, lo introduce in un tunnel di dolore lungo quattro anni. Sulle ginocchia di Ronaldo gravano due centrali nucleari, cosce ipertrofiche, serbatoi di potenza: il segreto della sua eccezionalità atletica. Il tendine rotuleo, che collega il quadricipite alla tibia, è un ponticello che sopporta un traffico da controesodo, il filo che tiene appesa la luna al cielo. Già durante il mondiale di Francia, il ginocchio destro di Ronaldo urla la sua sofferenza.



Il 21 novembre 1999, Inter-Lecce, quel ginocchio subisce una torsione innaturale, per colpa di una zolla infame di San Siro. Nove giorni dopo, il professor Gerard Saillant gli ricostruisce il tendine rotuleo. Il 6 aprile 2000 Ronie può mostrare i suoi dentoni sorridenti: "Oggi è nato mio figlio Ronald e ho ricevuto il permesso di giocare, forse già con la Lazio. La vita è bella". E invece, una settimana dopo, 12 aprile, all'Olimpico di Roma, la vita lo falcia da dietro. Ronaldo rientra in campo al 13’ della ripresa e tocca cinque palloni, l'ultimo al 19'. Poi crolla a terra urlando nel mezzo di un dribbling. "Abbiamo sentito un botto, come qualcosa che si rompeva", racconta l'arbitro Pellegrino. Il tendine rotuleo si è spezzato come un elastico, con il suono di una frustata secca. Il ponte è crollato, la luna si è staccata dal cielo. Ronaldo esce in lacrime, ripetendo “mamma” e “papà”.




Il professor Saillant si arma nuovamente di ago e filo. Il Fenomeno rientra alla fine del 2001. Ritrova il gol a Brescia in tandem con il suo amicone Vieri, ma cozza contro il generale Cuper, che ne rallenta il rilancio e gli grava la spalle con sacchi di sabbia da portare saltellando sui gradoni. Convivenza difficile, ma il 5 maggio 2002 Ronaldo è comunque titolare nel match della grande rivincita sul destino: ancora l'Olimpico, ancora la Lazio, per la scontata festa scudetto. Invece finisce di nuovo in lacrime. L'Inter perde in modo assurdo e consegna lo scudetto alla Juve.



Il Fenomeno si asciuga la lacrime al Mondiale nippo-coreano che vive da re assoluto: trascina il Brasile al titolo con 8 gol (capocannoniere), due alla Germania in finale. Nella notte del trionfo di Yokohama, si scorda però di pronunciare la parola Inter. Nessuna parola di riconoscenza per Moratti che lo ha trattato come un figlio; che quando Lippi spiegava "Ronaldo è uguale agli altri ', precisava "Ronie è un po' più uguale degli altri"; che gli ha versato un miliardo di lire al mese anche da fermo. Nessuna promessa al popolo nerazzurro che lo attende come re del mondo per riprendere la caccia alla Juve. Scappa come un ladro. Il Gatto e la Volpe lo trascinano al ricco Real e spartiscono con Pinocchio.



A Madrid segna, vince e se la gode. Il Paese dei Balocchi: conquista Liga, Champions, coppa Intercontinentale, supercoppa di Spagna, altro Pallone d oro, altro Fifa World Player, 1 titolo da Pichichi, 104 gol in 177 partite ufficiali nelle merengues. Dopo cinque anni, il Fenomeno rifinisce il tradimento all'Inter, passando al Milan. Al primo derby in rossonero (11 marzo 2007) segna all'amico Julio Cesar, compagno della ex Ronaldinha. Gattuso si inginocchia ai suoi piedi. Poi l'Inter ribalta il risultato (2-1), ma il gol del Fenomeno è rimasto come uno sfregio su tanti cuori nerazzurri. I 7 gol di Ronaldo sono decisivi nella risalita al quarto posto, buono per la Champions. Il resto della storia in rossonero è un rosario di infortuni.



Alla scadenza del contratto, Ronaldo torna in Brasile. Riparte nel 2009 dal Corinthians. Tra gossip, polemiche e scommesse sul suo peso, non smette di fare le cose di sempre: segnare e vincere. Festeggia campionato Paulista e coppa del Brasile, conta 35 gol in 69 match, prima di annunciare in lacrime l'addio, nel febbraio e nel giugno del 2011: "Soffro troppo e non mi riescono più le mie giocate . Nei bar si può discutere quanto si vuole se Ronaldo sia davanti o dietro a Pelé, Maradona o Messi nella storia del pallone. Ma una cosa è certa, inconfutabile e oggettiva: il calcio che ha mostrato il Fenomeno dal 96 al 98, cioè tecnica e potenza in velocità, non lo ha mai mostrato nessun essere umano su questa terra.