A quattro giorni dall' inizio dei Mondiali in Brasile, ho deciso di
ripercorrere le gesta di alcuni simboli del calcio brasiliano e del
Brasile. Paese di grandi talenti, alcuni rimasti solo meteore, altri
diventati stelle.
Continuo dunque questa breve rubrica con un uomo che è riuscito a dare un ruolo sociale alla figura del calciatore. Un uomo che si dtinse per le giocate in campo e per le sue parole fuori. Un filosofo, un politico, un genio, il Doutor: Sócrates Brasileiro Sampaio de Souza Vieira de Oliveira, meglio noto come Sócrates.
Continuo dunque questa breve rubrica con un uomo che è riuscito a dare un ruolo sociale alla figura del calciatore. Un uomo che si dtinse per le giocate in campo e per le sue parole fuori. Un filosofo, un politico, un genio, il Doutor: Sócrates Brasileiro Sampaio de Souza Vieira de Oliveira, meglio noto come Sócrates.
Ecco un articolo tratto dal portale StorieDiCalcio
LINK: http://www.storiedicalcio.altervista.org/socrates.html
SOCRATES: LA FILOSOFIA DEL DOTTORE
SELEÇÃO 82
Per la nostra generazione
Sócrates rappresenta quell'affascinante Brasile dei mondiali spagnoli del 1982. Una squadra spettacolare che non è rimasta nella
storia solo a causa di due tasselli mancanti, un portiere (al posto del disastroso Valdir Peres) e
un centravanti decenti (il giovane Careca si era infortunato poco prima della competizione lasciando
spazio al pessimo Serginho). Sócrates era il capitano di quella formazione che, comìè noto,
annoverava campionissimi come il "nostro" Zico, Paulo Roberto Falcão, Júnior, Toninho Cerezo, Éder ed era
allenata dal grande Telê Santana.
Dopo aver assistito
alle prime quattro partite molti erano convinti che 12 anni dopo lo squadrone con l'attacco composto da 5 numeri 10 (Jairzinho,
Gerson, Tostão, Pelé e Rivelino) finalmente una Seleção avrebbe riportato la Coppa a casa. Ma non fu
così. In quel fatidico 5 luglio al Sarriàdi Barcelona si svegliò improvvisamente Paolino Rossi e
con lui di tutta lìItalia di Bearzot. Fu proprio quel lungagnone barbuto col numero 8 a marcare la rete
dell'1-1, su invito filtrante del Galinho, spiazzando Zoff sul suo palo. Ma come tutti
ricorderanno non fu sufficiente. Fu in quella occasione che il grande pubblico conobbe per la prima volta
Sócrates, ma o Doutor era già un idolo nel suo paese e conosciutissimo in tutta l'America Latina, e
non solo per il futebol.
ATIPICO
Giocatore totalmente atipico,
al contrario della gran parte dei suoi colleghi non reputava il calcio l'aspetto più importante della sua vita, anzi.
Sembrava fosse arrivato per caso alla ribalta, e per caso ci rimaneva. Le sue passioni principali erano invece
la medicina e la politica, oltre all'alcool. Altissimo (1,93), fisico asciutto, piedino stranamente
piccolo per un'altezza simile (calzava il 38, qualcuno dice addirittura il 37) e fatato, Sócrates
era nato nel 1954 a Belém, nel Pará, estremo nord del continente brasiliano.
Suo padre era un
uomo di sinistra con una cultura sopra la media che negli anni della dittatura leggeva di nascosto i libri proibiti dal regime. Un
nome così importante non arrivò dunque per caso, ma era solo il primo di una lunga sfilza che, da
ragazzo, avevo imparato come se si trattasse di una filastrocca: Sócrates Brasileiro Sampaio de Souza
Vieira de Oliveira. Il nostro ebbe molti soprannomi, dal classico O Doutor (per ovvie ragioni), a Magrão,
all'altrettanto ovvio Crâtes, ma anche uno dei più belli mai sentiti a qualsiasi latitudine: O calcanhar
que a bola pediu a Deus, ovvero «Il colpo di tacco che la palla chiese a Dio»; non proprio un modo per
accorciarne il nome, ma sicuramente pura poesia brasileira che faceva riferimento a una delle
sue specialità tecniche.
Sócrates crebbe a Riberão Preto,
cittadona dell'interno dello Stato di São Paulo nel cui club locale, il Botafogo (da non confondersi con l'omonimo club di
Rio), iniziò a giocare, alternando allenamenti e partite con l'università; aveva infatti iniziato la
facoltà di Medicina presso la USP di Riberão Preto. Con il Botafogo si proclamò campione del primo turno del
Paulistão 1977 e in 4 anni marcò un centinaio di reti (nel 1976 risultò capocannoniere del
campionato), attirando su di se le attenzioni delle squadre più importanti del paese. Ma approdò tardi a un club
importante, a 24 anni, solo dopo essersi laureato in medicina (pediatria), qualcosa di inaudito
nel mondo del calcio.
A DEMOCRACIA CORINTHIANA
Qualcuno in Brasile
diceva che Sócrates non era un atleta, ma semplicemente un grande giocatore di calcio. Interno magro e lungagnone, testa alta, tocco
vellutato, dotato di rara intelligenza calcistica con la quale sopperiva alle limitate doti atletiche, i numerosi assist e le molte reti (su punizione, da fuori area, di testa) gli valsero ben presto la
chiamata di uno dei più importanti club brasiliani, il Corinthians di São Paulo, il secondo club più amato
del paese (dopo il Flamengo), soprattutto dalle classi più popolari della capitale paulista.
Tra il 1978 e il 1984
Sócrates segnò 172 reti in circa trecento incontri con il Timão (il Timone, presente nel simbolo del club) di cui divenne idolo
supremo, insieme ad una generazione di calciatori che lasciò il segno, non solo a livello calcistico,
Biro Biro, Wladimir, il più giovane Casão (Walter Casagrande, che giocò successivamente nell'Ascoli e
nel Toro), Zenon, il suo socio goleador Palhinha. Con i bianconeri vinse tre campionati dello Stato di
São Paulo (1979, 1982, 1983).
Ma oltre alle evidenti doti tecniche
Sócrates passò alla storia anche per un altro motivo. Erano quelli gli ultimi anni di dittatura in Brasile e in tutto il
paese si respirava un'aria nuova. Nel 1981 il Corinthians arrivava da una stagione fallimentare e l'anno
successivo arrivò un nuovo presidente, Waldemar Pires, che scelse il sociologo Adílson Monteiro Alves come
direttore tecnico della sezione calcistica. Fu un cambiamento epocale: insieme ai giocatori più
politicizzati del club Adílson diede vita alla celeberrima Democracia Corinthiana, un movimento che rivoluzionò
il comportamento dei giocatori dell'epoca. Principali protagonisti furono Wladimir, Casagrande e
Zenon, ovviamente con Sócrates in testa e suo simbolo incontrastato.
Nel Corinthians venne introdotta l'autogestione:
tutte le decisioni del club venivano prese per maggioranza dopo una votazione alla quale
partecipavano tutti, dal presidente ai dirigenti, giocatori titolari e riserve fino ai magazzinieri, e ogni voto
aveva lo stesso peso. Accompagnati dai motti «Libertà con responsabilità» e «Vincere o perdere, ma
sempre con democrazia», si decidevano gli orari degli allenamenti, la campagna acquisti e
cessioni e sembra addirittura le formazioni. Ovviamente vennero subito aboliti i ritiri. Pensare di
ricreare un ambiente democratico a livello di autogestione totale all'interno di una squadra di
calcio mentre nel paese c'è ancora una dittatura militare sembrava una completa pazzia, ma quei
visionari ci riuscirono e l'aspetto più assurdo è che in quei due anni di esistenza funzionò perfettamente. Il Corinthians
non solo vinse due campionati Paulistas (1982 e 1983), ma risanò anche i suoi
debiti.
Tuttavia la Democracia Corinthiana,
si spinse oltre. In piena dittatura militare capitanata dal Presidente Generale João Figueiredo, cercava non solo
di riflettere le ansie democratiche di una società in fermento, ma anche di usare l'enorme potere
del calcio sulle masse per veicolare dei messaggi civici che in quel momento non era così
facile far passare in altri modi. Anticipando in qualche modo lì epoca delle sponsorizzazioni, in quel
complicato periodo la maglietta del Corinthians si fece portatrice di slogan politici, come il semplice
«Democracia», o «Vogliamo votare il nostro Presidente» e «Diretas já».
Era quest'ultima una campagna alla
quale partecipò attivamente anche Sócrates e che cercava di ottenere l'elezione diretta del primo Presidente
brasiliano alla fine della dittatura (e non dal parlamento come invece volevano i militari, per poter
dirigere in qualche modo la transizione). In quel momento tutti i più grandi campioni del paese stavano
emigrando in Europa e O Doutor arrivò ad affermare che se fosse stata accettata lelezione
diretta egli avrebbe rinunciato all'imminente trasferimento alla Fiorentina. Non accadde, e Crâtes
partì per l'Italia.
Arrivò a Firenze quasi fosse atterrato
da Marte (o semplicemente dal Brasile di quegli anni) in un modo di concepire il calcio a lui completamente
alieno. Il benvenuto fu una durissima preparazione precampionato con Picchio De Sisti come allenatore,
per lui che era abituato ad allenamenti blandi, magari a ritmo di musica. Non si inserì mai nella
squadra, della quale rimase sempre un corpo estraneo. Durò solamente una stagione, molto
deludente, con 25 presenze e 6 reti, e ritornò subito dopo in Brasile dove militò ancora per qualche anno
nel Flamengo e nel Santos.
Ebbe un ultimo sprazzo in
nazionale ai Mondiali di México 1986, ma ormai gli anni migliori erano già passati. Nei quarti di finale il Brasile venne
eliminato ai rigori dalla Francia di Platini e Sócrates sbagliò il suo tiro dagli undici metri. Fu quella la sua
ultima di 63 partite con la Seleção, condite da 25 reti. Nel 1989 chiuse (peraltro senza quasi giocare) nel suo
club degli inizi, il Botafogo di Riberão Preto. Poi nel 2004, all'età di 50 anni, per amicizia diresse per un
mese il Garforth Town, squadra delle divisioni inferiori inglesi, disputando anche una dozzina di
minuti contro il Tadcaster Albion. Dopo il suo ritiro esercitò la professione di medico nella sua città.
Anche il suo fratello minore Raí (nato nel 1965) divenne un apprezzato calciatore che vinse tutti i
titoli possibili con il São Paulo all'inizio degli anni Novanta per poi militare per cinque anni con il Paris
Saint-Germain.
ALCOOL E SIGARETTE
Sócrates era costantemente accompagnato
da birra e sigarette, altro paradosso per un medico. Qualcuno forse ricorderà Una vita da Goal, una serie
di bellissimi programmi di Gianni Minà andati in onda come presentazione dei Mondiali del 1986. Nella
puntata dedicata a Zico e Sócrates, entrambi ritornati in patria al Flamengo dopo le alterne
fortune italiane, O Doutor appariva come giurato al Carnevale di Rio e nel suo palco aveva a disposizione
birra sempre gelata in quantità industriali. Durante una parte dell'intervista, appoggiato al palo
di una delle porte della Gávea (il centro di allenamento del Flamengo), si intravedeva che appena
fuori camera aveva sempre una sigaretta accesa.
L'ULTIMO SALUTO
Proprio il 4 dicembre 2011,
mentre Sócrates si spegneva a causa di un'infezione intestinale, si disputava l'ultima
partita del Brasileirão (il campionato nazionale brasiliano) e il Corinthians
si giocava il titolo contro il Palmeiras, uno dei suoi più
acerrimi rivali al Pacaembu. Ovviamente il pensiero è andato al grande Sócrates, che veniva sepolto nella
sua Riberão Preto quasi contemporaneamente all'inizio delle partite. 1-1 il finale, risultato che
grazie anche al pareggio nell'altro derby (carioca stavolta) tra Flamengo e Vasco, dava al Timão il suo
quinto titolo nazionale. Molti giocatori hanno poi esultato come faceva Sócrates dopo una rete: con il
braccio destro in alto e il pugno chiuso. Obrigado, Doutor.
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