Apro dunque questa breve rubrica con un grande personaggio e un grande uomo, Dario José dos Santos, meglio noto solo come Dario o Dadá Maravilha (nome che userò oggi).
Ecco un articolo tratto dal portale SportVintage, i cui autori ringrazio per la collaborazione e la messa a disposizione del loro accurato materiale.
LINK: http://www.sportvintage.it/2010/05/04/dada-maravilha-il-gol-della-poverta/
Dadá Maravilha, il gol della povertà
(Rio de Janeiro, Brasile, 04/03/1943)
Un grigio plumbeo è sopra di me all’alba,
mentre le strade del mondo mi conducono a Marechal Hermes, sobborgo di
Rio de Janeiro, dove sopravvivo e riesco a malapena ad arrivare
all’aurora del giorno dopo. Ricerco nella spazzatura una crosta di pane
da portarmi alla bocca e cartoni con i quali rifugiarmi dalla crudele
morsa del freddo, della fame e dell’oblio.
Mentre il colesterolo si impianta nella
società del consumo, io provo a farmi largo tra rifiuti e resti, sopra i
quali continuo a cercare una luce nel cammino. Nel cielo grigio di
oggi, il Sole continua a lottare tra le nubi per far venir fuori il suo
braccio dorato; al suolo, il vento si incarica di ricordarmi che
continuo ancora a vivere. E le persone vanno e vengono ignorando la mia
presenza e quella del vecchio albero, mio unico amico.
Mentre il mio stomaco avverte il senso
del vuoto, soltanto il Sole mi sveglia da questo incubo eterno facendosi
strada e inviandomi un potente raggio di luce che mi acceca gli occhi. E
questi riescono appena ad indovinare il profilo e l’ombra allargata in
controluce di una figura che si avvicina dal fondo, per offrimi un po’
di comprensione e di affetto.
È il vecchio Dadá che torna dal passato per raccontarmi la sua vita:
Mi chiamo Dario José dos Santos, sono nato qui a Marechal Hermes; la mia infanzia non è stata assolutamente facile; quando avevo cinque anni, vidi mia mamma suicidarsi, consumata e divorata dalle fiamme; e da quel momento la strada divenne la mia figura materna, e la fame diventò il mio progenitore.
Così cominciava la storia di un piccolo
rampollo della strada chiamato Dario, al quale le condizioni di orfano e
povero lo colpirono tra i dieci e i diciotto anni di età. Un duro
periodo della vita, nel quale dovette ricorrere alla delinquenza per
poter sopravvivere.
La storia quotidiana di cento peripezie,
schivando la fame e le autorità; furtarelli che lo obbligarono a salire
su molti alberi e muri, e a correre come una gazzella. La sua capacità
di saltare in alto era stratosferica: saltava 90 centimetri da fermo e
un metro e mezzo correndo. Inoltre era incredibilmente rapido: si diceva
facesse i cento metri in 9.9 secondi ed era praticamente impossibile da
catturare.
Non sapeva giocare a calcio, non
partecipava mai alle partite dei ragazzi del quartiere. La sua
principale occupazione era rubare. Ma una mattina, dopo aver rapinato
due ragazze, si diresse al mercato degli oggetti rubati e vi acquistò un
pallone. Un oggetto che sentiva strano e lontano, ma che esercitava
sopra di lui un’enorme forza di attrazione.
Si racconta che un bel giorno lo
catturarono e lo spedirono al riformatorio di Fenabem/Febem, dove la sua
vita cambiò repentinamente ed ebbe l’opportunità di entrare in contatto
con quell’oggetto sferico e con il calcio. E cominciò quello Sport
quando non era più un bambino, ma quell’iniziazione simboleggiò per lui
quella luce che tanto stava cercando. Dopo il suo passaggio a Fenabem,
Dario decise di abbandonare definitivamente la delinquenza e trovò nel
calcio la strada ideale per lasciare la sua vita di impellenti necessità
che lo aveva accompagnato durante tutta la sua infanzia e tutta la
sua adolescenza.
Cominciò a giocare nel Campo Grande di
Rio de Janeiro. Laggiù imparò i fondamentali del gioco, e a
disputare partite, mettendo in luce le sue impressionanti qualità
atletiche. Agli inizi era un po’ impacchettato: non sapeva colpire di
testa, e la sua tecnica lasciava molto a desiderare. Imparò con Grandim,
sempre nel Campo Grande. Lui gli insegnò le basi della conclusione di
testa e della tecnica di gioco; e con il tempo diventò uno dei migliori
colpitori di testa del calcio brasiliano.
Tra il 1965 e il 1966 militò nella
categoria juniores. Dario venne quindi promosso in prima squadra, dove
giocò nei due anni seguenti, arrivando a combattere per il trofeo di
capocannoniere del Campionato Carioca Nel 1968 quel ragazzo, che era un
grattacapo per la polizia solo pochi anni prima, attirò l’attenzione di
una delle più grandi squadre del calcio brasiliano, l’Atletico Mineiro. E
in questa formazione diventò un fenomeno.
Dario divenne Dadá Maravilha,
personaggio storico nella società brasiliana e fedele riflesso della
più devastante povertà che stava colpendo uno dei paesi più grandi e più
affascinanti del mondo.
Utilizzò il calcio come mezzo di
espressione personale e come la strada più breve per esprimere ciò che
sentiva e tutto quello che aveva sofferto. Venne considerato il filosofo
di Marechal Hermes, dove la cultura della strada si incaricò di
plasmare e creare il personaggio di Dadá Maravilha.
Più celebri dei 539 gol realizzati in
carriera o dei soprannomi, che lui stesso si affibbiava (Rè Dadá, Petto
d’Acciaio), furono le frasi che Dadá Maravilha consegnò ai posteri, nel
folklore del calcio verdeoro:
“Con Dadá in campo nessun punteggio in bianco”. “Esistono tre poteri: Dio nel Cielo, il Papa nel Vaticano e Dadá nell’area di rigore”.
Sono queste le migliori tra una incalcolabile lista di espressioni di genialità, semplicità e purezza.
Messo sotto contratto dall’Atletico
Mineiro, Dadá incominciò a scrivere il proprio nome nel firmamento dei
grandi astri del pallone. Dadá Maravilha fu il protagonista del
campionato brasiliano 1971. Autore del gol decisivo che garantì il
titolo all’Atletico Mineiro, vincitore contro il Botafogo al Maracaná,
Dario si consacrò miglior goleador del torneo, con 15 reti realizzate.
Il “Petto d’Acciaio”, come lui stesso si fece chiamare, ripeté l’impresa
l’anno seguente, sempre con la divisa del “Galo”.
Con i colori della società di Belo
Horizonte fece la storia. Giocò nell’Atletico fra il 1968 e il 1972,
ritornandoci nel 1974, e di nuovo nel 1978 e nel 1979. Dadá Maravilha
diventò il secondo cannoniere di sempre nella storia del club, con 208
reti realizzate. Oltre che campione brasiliano nel 1971, con la squadra
vinse anche il campionato del Minas Gerais nel 1970 e nel 1978.
Dadá militò in molte squadre. Oltre al
“Galo”, l’attaccante giocò per sedici differenti squadre brasiliane,
garantendo dedizione ed amore in ogni club.
Emerse soprattutto nelle file
dell’Internacional, dove fu capocannoniere, e vinse il Campionato
Brasiliano del 1976, anno nel quale conquistò anche il campionato del
Rio Grande do Sul. Nel 1981 e nel 1982 fu campione della Bahia con la
squadra della capitale Salvador, e campione del Pernambuco nel 1975 con
la divisa dello Sport Recife.
Con questa squadra batté un altro
record, nel 1976, segnando dieci dei quattordici gol, con i quali il suo
team sommerse il Sante Amaro, nel torneo pernambucano.
Come molte volte ha ricordato lo stesso
Dadá, si guadagnò il privilegio di far parte della migliore squadra di
sempre, il Brasile del 1970 col quale, pur non giocando, vinse la Coppa
del Mondo, e dove colse l’opportunità di giocare fianco a fianco con
campioni del calibro di Pelé, Gerson e Tostão.
Una buona dimostrazione della leggenda
di questo giocatore era la sua assoluta mancanza di tecnica, che pure
non gli impedì di essere uno straordinario goleador. A questo proposito
Dadá pronunciò un’altra frase celebre:
Tiro così male, che il giorno in cui ho fatto un gol da fuori area, il portiere avrebbe meritato di venire cancellato dal mondo calcio.
Raccontava sempre che non gli
interessava giocare con tecnica, che l’unica cosa che sentiva nella sua
testa era il gol: caratteristica che gli permise di arrivare ai più alti
livelli in tutte le squadre di ogni regione della nazione, dal Rio
Grande de Sul all’Amazzonia.
Ma Dario José dos Santos fece qualcosa
di più oltre a piombare di gol il palcoscenico degli attaccanti
brasiliani per molti anni. Dadá segnò la via maestra per tanti ragazzi
che oggigiorno cercano tra la spazzatura una crosta di pane.
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