Oggi dobbiamo dare l'addio a Luis Aragones. Allenatore "vecchio stampo", non lavorava nel calcio, lo viveva. All'Altetico, da giocatore vinse tre campionati e due Coppe del Re. Da allenatore, sempre a Madrid, in quattro esperienze diverse, collezionò un campionato, quattro Coppe di Spagna, una Supercoppa di Spagna e una Coppa Intercontinentale. Con lui in panchina, probabilmente abbiamo assistito alle migliori formazioni dei "colchoneros". Fiero spagnolo militò solo una volta all'estero, in Turchia: esperienza senza soddisfazioni.
Passò alla Spagna e ha riscritto le prime rivoluzionarie pagine del calcio degli ultimi cinque anni, passando poi la penna a Guardiola e Del Bosque. Cambiò il sistema di gioco, da verticale a orizzontale, capì la capacità fuori dal comune di palleggio dei suoi e ne fece il punto di forza. Diede l'input a un nuovo sistema, che sfociò nel tanto vincente, tanto ossessivo, quanto noioso tika-taka di Guardiola. Vinse gli Europei del 2008, passando, soltanto ai rigori, anche sopra la nostra nazionale, in una partita avara di emozioni.
Verrà ricordato, inoltre, per le parole razziste nei confronti di Henry e per quelle poco amichevoli rivolte a Gattuso. Nè un santo, nè un diavolo, semplicemente Aragones, il madrileno.
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